Nicatedda Weekly - #7 - 8 novembre 2025
In Nicatedda Weekly di questa settimana: due mozioni approvate, un regolamento ritirato e una riflessione: la buona politica unisce empatia e rigore. La strada giusta si percorre.
NICATEDDA WEEKLY


Ci sono momenti, nella vita politica di una comunità, in cui il confronto riesce a superare la contrapposizione.
Le due mozioni che come Verso la Strada Giusta abbiamo presentato su AQP e POSTAMAT sono state approvate dal Consiglio Comunale! E questo risultato, aldilà dei temi specifici, rappresenta un segnale importante: quando si mettono da parte le appartenenze e si guarda davvero ai problemi della comunità, qualcosa di buono accade.
Desidero ringraziare i consiglieri di maggioranza che hanno compreso la portata delle questioni sollevate e hanno scelto di sostenere entrambe le proposte.
Come movimento abbiamo attivato tutti i canali di comunicazione, istituzionali e non, per approfondire la situazione e se possibile per trovare una soluzione tangibile.
Non è un punto di arrivo ma un passo avanti nel metodo: quello di chi crede che la politica locale debba tornare ad essere strumento di ascolto e cooperazione, non di divisione.
Verso la Strada Giusta continuerà a fare la sua parte, con la stessa convinzione e passione di sempre.
Quando l’incompetenza diventa un rischio per i cittadini
La politica locale svela il suo vero volto non nelle grandi scelte, ma nelle piccole cose. Nei piccoli atti amministrativi.
Durante l’ultimo Consiglio Comunale la maggioranza ha portato per la terza volta una proposta di regolamento sugli strumenti che i cittadini possono utilizzare nei tributi comunali.
Per la terza volta lo stesso testo, identico in ogni parola, in ogni errore, in ogni contraddizione.
Tre tentativi e nessuna revisione.
Eppure è bastato leggere con attenzione la bozza del regolamento (leggere e studiare per davvero) per scoprire un testo pieno di refusi, duplicazioni, articoli inesistenti, commi che si contraddicono e addirittura disposizioni retroattive.
Un regolamento che, se approvato, avrebbe generato confusione e probabilmente danni ai cittadini e all’Ente stesso.
Eppure quel testo aveva già ricevuto i “pareri positivi” dagli uffici e dai revisori: una leggerezza che fa riflettere.
Alla fine, di fronte alle nostre osservazioni puntuali, la proposta è stata ritirata per l’ennesima volta. Non per un capriccio politico, ma per una questione di serietà istituzionale.
Perché amministrare non significa riempire verbali e fare post, ma garantire che ogni norma sia chiara, coerente e legittima.
Questa vicenda dimostra quanto sia fragile un sistema amministrativo quando manca il controllo, la competenza e la cura per i dettagli. E quanto sia necessario un lavoro di vigilanza costante, anche quando è scomodo, anche quando ti fa passare per “antipatico”.
Chi amministra non può permettersi la leggerezza. Un regolamento sbagliato non colpisce chi lo scrive, colpisce i cittadini che dovranno subirlo.
La buona politica non è quella che corre per arrivare prima, ma quella che si ferma per fare le cose bene.
E se per farlo serve qualcuno che, ogni tanto, dica “fermi tutti, così non va”, allora continueremo a farlo. Perché la strada giusta è anche, e soprattutto, quella che evita gli errori degli altri.


L’effetto Mamdani.
La speranza non basta (e la politica che ci serve davvero)
Spesso le storie che accendono la speranza arrivano da lontano.
È quella di Zohran Mamdani, il giovane newyorkese di origini ugandesi che ha conquistato New York promettendo una città più giusta, più accessibile, più umana.
In questa vicenda c’è una cornice che emoziona: figlio di immigrati che sfida il sistema, che parla il linguaggio della gente comune, che trasforma l’indignazione in proposta.
Ma dietro l’entusiasmo si nasconde una verità più dura: le storie non bastano più. Non bastano i volti nuovi, né gli slogan accattivanti. Perché le città, come le persone, non vivono di ideali, ma di scelte concrete, bilanci in ordine e responsabilità quotidiana.


Mamdani ha vinto perché ha saputo incarnare un sogno. Ma ora viene la parte difficile: trasformare l’empatia in efficienza, le parole in risultati. E questa è la sfida di ogni comunità che vuole crescere senza perdersi nella retorica del cambiamento.
Dopotutto il limite della politica contemporanea è sempre lo stesso: usare le persone come simboli, come strumenti di consenso, e poi lasciarle sole quando non servono più. È già accaduto a New York, come succede nei nostri paesi.
Si parla di partecipazione, di cittadini “al centro”, ma quando quei cittadini si espongono davvero, quando provano a fare la differenza, quando danno il loro contributo, vengono spesso ignorati, isolati, o considerati “scomodi”. È la politica del consumo umano: si accende una torcia, la si sventola, e quando la luce cala si passa a quella successiva.
Eppure, il mondo ha fame di tutt’altro.
E Papa Francesco lo disse con una semplicità disarmante: “Il vero potere è il servizio”.
Servizio, non possesso.
Fiducia, non controllo.
Responsabilità, non vanità.
Perché non abbiamo bisogno di nuovi eroi, ma di amministratori affidabili: persone capaci di unire empatia e rigore, cuore e metodo, visione e concretezza. Non serve chi promette miracoli, ma chi lavora per garantire risultati misurabili e duraturi.
E forse la vera rivoluzione è proprio questa: trasformare l’empatia in efficienza, la protesta in proposta e il protagonismo in servizio.
Le comunità non si salvano con l’emozione di un giorno, ma con la pazienza di chi costruisce.
Passo dopo passo.
Senza clamore, senza arroganza.
Con la consapevolezza che la strada giusta non si promette: si percorre.
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